DIZIONARIO DI ERUDIZIONE - OROLOGIO (C)

Le ore con il sole.

A cura di: PALTRINIERI

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PALTRINIERI
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DIZIONARIO DI ERUDIZIONE - OROLOGIO (C)

Messaggio da PALTRINIERI » sab nov 13, 2021 6:59 pm

DIZIONARIO DI ERUDIZIONE – OROLOGIO-(C)
(Trascrizione di Giovanni Paltrinieri per AISOR, 2021)
La seguenti righe concludono la trascrizione dell’articolo di GAETANO MORONI del 1848 dedicato all’Orologeria.

Gli orologi portatili o da tasca, detti mostre e talvolta quadranti, sono oscuramente descritti da Vitruvio che li chiama viatorii, senza dire nel descriverne uno, se fu invenzione greca o romana: mancando allora la direzione della calamita, pare che non potessero agire che per un movente ritardato e ridotto al corso, ordinato dalla resistenza d’un qualche grave. Si vuole che le prime mostre tascabili sieno state inventate a Norimberga, da Pietro Hele nel 1500, onde chiamaronsi uova di Norimberga, dalla forma ovale, cioè dopo l’invenzione della molla spirale, trovato di Ugenio o Huyghens, come forza movente, la quale fu sostituita ai pesi in molti orologi. Qualche esempio anteriore di simili orologi con filo di budello o corda di violino in vece di catenella di acciaio (sostituita da Gruet di Ginevra per evitare l’impressione dell’atmosfera che ricevevano le cordicelle di budello) si vedono ne’ gabinetti con collezioni di curiosità: Luigi XI re di Francia (morto nel 1483) possedette un orologio tascabile, che suonava le ore. Però gli orologi mobili e di piccola mole si diffusero nel secolo XVI, col suono indicanti le ore e segnanti anche il corso de’ giorni e de’ pianeti, e si giunse nel 1537 circa a racchiuderli negli anelli. A Carlo V fu presentato un orologio che passò per cosa portentosa, sebbene egli si dilettava fabbricare orologi, occupazione ch’esercitarono altresì diversi sovrani, frà quali Gio. Gastone granduca di Toscana, che confessava con Seneca, che il gran numero di orologi ch’egli teneva, non combinavano mai nella giusta indicazione del tempo, ed un giorno avendoli trovati tutti caduti per terra, pel rovescio della tavola che li conteneva disse: Questa è la prima volta in cui finalmente tutti sono andati d’accordo. Dopo la narrata invenzione del pendolo, da essa ne derivò l’applicazione di nuove divisioni alle macchine destinate alla misura del tempo: si divise l’ora in 60 parti, che nominaronsi minuti, il minuto egualmente in 60 frazioni che nominaronsi secondi, e il secondo in 60 parti che si dissero terzi, cosicché la rivoluzione giornaliera del sole, divisa da prima in 24 parti, lo è ora in 86.400 secondi che si possono contare; divisioni che si applicarono agli orologi tascabili, ai cronometri e a tutti gli orologi astronomici. L’epoca della perfezione degli orologi pare che debba ripetersi al regno di Carlo II re d’Inghilterra (morto nel 1685), che due ne mandò a Luigi XIV, uno a ripetizione, l’altro a svegliarino, che furono i primi di questo genere veduti in Francia, indicando col suono le ore e i quarti. Occultando gli artefici inglesi la nuova costruzione, solo al carmelitano Truchet di Lione riuscì aprirne le mostre: si fecero ripetizioni con musiche, racchiuse anco in anelli e pomi di bastoni, non che dentro bottoni d’abiti. Dicesi che le ripetizioni siano state immaginate nel 1676 dall’inglese Barlow. Quanto alla emendazione e perfezione degli orologi a ripetizione, si deve al pesarese Cristoforo Agostini, poi sacerdote, nel principio del secolo XVIII. Le irregolarità da lui eliminate consistevano: se cinque o sei o più minuti si dava mossa all’ordigno della ripetizione, l’orologio suonava anticipatamente quell’ora istessa, a cui l’indice non per anche era giunto, e di più suonava ancora i tre quarti già scorsi. Per correggere questo difetto studiarono allora invano i più bravi orologieri d’Italia, di Francia, di Germania e d’Inghilterra, dimodoché il rimedio era riputato quasi impossibile. L’Agostini essendo in Roma, comeché avea un genio particolare per inventare le più ingegnose macchine d’ogni genere, dopo avere appresa l’arte d’orologiaro da un valente liegese, giunse a trovare il modo di ridurre a giustissima regola le ripetizioni con disegni che fece. Li dié al maestro per esaminarli, ma tacciatolo di presunzione li prese senza apprezzarli. Giunto poi in Roma un rinomato orologiaro di Londra, parlando col liegese dell’accennata irregolarità, questi mostrandogli i disegni del discepolo, a di lui richiesta glieli cedette come cosa che riputava non doversene far conto. Dopo pochi mesi si seppe che finalmente l’Inghilterra avea corretto il difetto delle ripetizioni, ed essendone stata mandata una a Roma, trovò l’Agostini ch’era stato a puntino eseguito il metodo da lui inventato. Questa gloria rivendicata all’Italia, racconta meglio il ch. Rambelli Lettere intorno invenzioni e scoperte italiane, lett. 23, e nella lett. 45 discorre dell’orologio a specchi onde mostri le ore in luogo ove non giunga raggio di sole; invenzione dell’ebreo Raffaele Mirami.
La determinazione delle longitudini nel mare, per mezzo dell’orologio di mare, il cui moto uniforme, ad onta dell’agitazione del mare, conserva sempre l’ora ch’è sotto al meridiano della partenza, si deve nel 1726 a Giovanni Harrison di Londra che fece un pendolo, poi migliorato e perfezionato da lui stesso. Finalmente i tanto decantati cronometri o orologi marini, così detti per essere misuratori del tempo, sono certamente i capi d’opera della più gran perfezione, per misurare il tempo colla maggior possibile precisione, e presentano i vantaggi più grandi ai progressi delle scienze; poiché per la loro esperimentata esattezza gareggiano in questa cogli stessi pendoli astronomici, essendo insensibili agli effetti e influenza della temperatura e degli estremi movimenti. Sono di piccola mole, e ordinariamente della forma delle mostre da tasca grandi; quindi si rendono doppiamente pregevoli pel facile loro trasporto, particolarmente nella navigazione, nulla soffrendo dal movimento de’ bastimenti anco in mezzo alle burrasche, onde furono sostituiti dagli orologi marini nell’interessante determinazione delle longitudini. Vengono pure impiegati nelle osservazioni astronomiche, godendo della stessa esattezza de’ pendoli, e si adoperano principalmente nella determinazione delle differenze di longitudine e in altre osservazioni geodetiche. Marcano i cronometri le ore, i minuti e i secondi, il caldo e il freddo. Nel 1784 ne lavorò uno con somma diligenza l’inglese Mudge, ed altro l’inglese Emery assai pregevole; altri rinomati costruttori di cronometri sono Arnold, Januier, Giroud, Berthoud, Breguet, Tourbillon: anche in Italia e in Germania si fabbricano eccellenti cronometri, e Francesco Tessarotto, meccanico dell’Università di Padova, ottenne premio di onore per un suo cronometro che presentò all’Istituto di Scienze, Lettere ed Arti. Il celebre cardinal Capaccini lasciò in morte un perfettissimo cronometro a Gregorio XVI, il quale lo donò al gesuita direttore della specola ed osservatorio astronomico del collegio romano, pel suo costante divisamento di contribuire al bene de’ pubblici stabilimenti, anche con oggetti a lui donati d’un merito singolare e non comuni, acciò ognuno potesse ricavarne vantaggio; idea sublime che lo determinò sempre a privarsi di ragguardevoli proprietà, sagrificando anco il piacere di vagheggiarle vivente.
Il Cancellieri nella lodata sua opera, impiega il cap. 21 a trattare, se sia preferibile l’orologio oltramontano o francese detto anche astronomico, all’italiano, nelle diverse divisioni delle ore, e come ambedue le noverino e scompartino, vecchia e nuova questione agitata ancora a’ nostri giorni. Il gesuita Domenico Troili pubblicò in Modena nel 1757: Ragionamento dell’oriulo oltramontano; e l’altro gesuita Giulio Cesare Cordara in Alessandria nel 1783: Discorso de’ vantaggi dell’orologio italiano sopra l’oltramontano. Antonio Cagnoli quindi ci diede: Orologi italiano e francese, Venezia 1783. Nel 1805 monsignor Filippo Gilii stampò in Roma: Memoria sul regolamento dell’orologio italiano colla meridiana. I cinesi contano il principio del giorno dalla mezzanotte, onde l’origine degli orologi francesi può dirsi in certo modo cinese. Non può certamente negarsi, che questo essendo regolato sopra il punto fisso della meridiana, mostri meglio dell’italiano il punto del mezzogiorno, che preme di sapere per la cessazione dei lavori, e per l’ora di desinare; poiché venendo a cadere dalle ore 16 alle 19, che sono i due estremi de’ due solstizi d’estate e d’inverno, non può sapersi che con una tabella, la quale è molto incomoda. Ma se dee confessarsi che questo orologio astronomico sia il più ingegnoso ed esatto, sembra per altro che l’italiano sia più facile a capirsi, e per la maggior parte degli uomini più usuale, più comodo e più necessario. Servendosi il Cancellieri delle espressioni del Cordara, aggiunge: la natura medesima si è dichiarata in favore del sistema italiano, che mette il fine di un giorno e il principio di un altro, al tramontare del sole, per essere questo un punto sensibilissimo a tutto il genere umano, punto di divisione fra la luce e le tenebre, che chiama gli uomini dalla fatica al riposo; che intima ai bruti il ritiro ne’ loro covili; che impone a tutta la terra un profondo silenzio; che finalmente porta seco un cangiamento universale di cose sulla superficie dell’emisfero; tanto che il Sole medesimo, nell’atto di nascondersi, par che dica, che in quel punto finisce un giorno e ne comincia un altro. Conchiudendo il Cancellieri, donde tolsi questi brani, che carissimo ci deve essere il nostro orologio italiano. Il Cordara poi, a p. 32, termina con dire: usi pure ognuno quell’orologio che più gli piace, che non glielo contrasta, ed essere anzi d’avviso, che ad ognuno debba parer meglio quello a cui si è avvezzato da lungo tempo, tale essendo la forza delle abitudini; però sostiene, che il contare le ore all’italiana sia più naturale e più semplice dell’orologio oltramontano; e che l’orologio italiano è più facile a capirsi, più facile a regolarsi, più usuale (al suo tempo), più comodo, più necessario.
Nel novembre 1846 il regnante Pio IX coll’esempio dato nell’orologio del Palazzo Quirinale, ha tolto l’antico metodo italiano, sostituendovi il sistema ormai europeo, comunemente detto alla francese. Indi sull’utilità del cambiamento di regolare i pubblici orologi di Roma, e della divisione del tempo in giorni e ore, e degli orologi così detto italiano e francese, si pubblicarono dall’Album alcuni articoli, frà quali i num. 26 e 27 dell’anno XIV, contengono quello bellissimo del sacerdote Salvatore Proia, il quale eruditamente con sode ragioni e con profondo sapere, imparzialmente enumera i pregi e i difetti de’ due orologi. Difende l’orologio italiano, usato ad imitazione del popolo di Dio, e di Atene maestra di civica sapienza; distingue i rapporti per gli usi della vita domestica e pel modo di regolarlo, dichiara utilissime le dodici tavole del gesuita Clavio, sparse per tutti i mesi e giorni dell’anno, la durata del giorno naturale, le ore della notte, e persino l’aumento del giorno per la rifrazione, avendo provato il Gilii potersi l’orologio italiano regolare anche col mezzodì. Rileva inoltre perché è preferibile l’orologio italiano all’oltramontano; ne rimarca i pregi e lo difende dalle imputazioni difettose, e consiglia leggere l’ingegnoso libretto uscito dalla Specola del Collegio Romano col quale a chi interroga che ora è? Si risponde senza fallire un minuto in ambedue le maniere, cioè coll’orologio francese egualmente che coll’italiano. Quanto all’orologio denominato francese, non dubita di affermare, perché popolarizzato anche nell’Italia, possa e debba introdursi nei nostri paesi, massime nelle grandi capitali come Roma, dove considerevole è il concorso de’ forastieri, usi già da lungo tempo a quella maniera di orologio. Quindi loda il senno pubblico di Roma, che imitando quello del principe ha scambiato l’orologio nel francese, ma non perciò si dee all’italiano orologio, osservato in Italia per lungo volger di secoli, nè quali regolò la vita operosa de’ nostri antenati, maledirne odiosa la memoria, compiacendosi di vederli anzi tuttavia sulla fronte del maggior tempio Vaticano, e sul portico delle colonne di Veio nel Foro Antoniano, cioè sull’edifizio della posta a fianco del suo vittorioso rivale (poiché Gregorio XVI, oltre il portico, aggiunse all’edifizio due orologi). Conchiude, che il vero vantaggio che possa ritrarsi dall’orologio detto francese, è quello di poterlo con più facilità regolare sul tempo medio, coi modi che propone secondo la scienza, da cui scaturì alla società quanto si ha di pregevole nella minuta divisione del tempo, nella cronologia, nel calendario; come opportunissimi consiglia una meridiana di qualche esattezza, linea per cui nel punto del mezzodì passa un raggio di Sole, e l’ombra prodotta dal gnomone, e delle tavole d’equazione del tempo, e consultarle quando il gnomone o il centro dello spettro colare coincide con quella. Finalmente a maggior comodo del pubblico, e per ovviare al disordine che suole arrecare l’andamento diverso di tanti orologi in Roma, dal primo dicembre 1847 un colpo di cannone dal Castel S. Angelo annunzia ogni dì alla popolazione il vero istante e preciso del mezzogiorno, quale appunto dovrebb’essere in pari tempo indicato da tutti gli orologi ben regolati della città.

-. FIG. 1 = Tarsia lignea cinquecentesca di Padre Damiano Zambelli in San Domenico a Bologna, raffigurante uno dei primi esempi di Svegliarino Monastico.
-. FIG. 2 = Nicolo’ dell’Abate. Bozzetto cinquecentesco del quadrante per l’Orologio di Piazza Maggiore a Bologna. Parigi, Collezione dei Disegni del Louvre.
-. FIG. 3 = “l’Abito dell’Orologiaio”: incisione settecentesca di DE LARMESSIN.
-. FIG. 4 = Il cannone del Gianicolo a Roma, si accinge ad annunciare il Mezzodì.
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