Il tempo è tiranno
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Il tempo è tiranno
Ci illudiamo di dominare il tempo ma siamo da questo dominati,
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.... Col gesto abituale di ogni sera, levai l’orologio dalla tasca: lo tenni un poco in mano, e lo avvicinai all’orecchio, prima di posarlo sul tavolino accanto al letto. Sentivo il suo ticchettio regolare, e pensavo che il tempo dell’orologio è del tutto l’opposto di quel tempo vero che stava dentro e attorno a me. È un tempo senza esitazioni, un tempo matematico, continuo moto materiale senza riposo e senza angoscia. Non fluisce, ma scatta in una serie di atti successivi, sempre uguali e monotoni. Ora l’orologio era sul marmo del comodino, appoggiato obliquamente sul suo moschettone ripiegato, fermo e insieme animato da un moto interno, come un grosso moscone lucente, pronto al volo. Era un bellissimo orologio d’oro, a doppia calotta, di ottima marca: un cronometro Omega, che non perdeva un secondo. Me lo aveva regalato, come è usanza, moltissimi anni fa, quando mi ero laureato, mio padre. Tutti questi orologi da tasca, grandi, pesanti, in un certo modo solenni, e un poco antiquati (ma il mio aveva, oltre le lancette delle ore e dei minuti e quella piú piccola dei secondi, quella lunga e sottile e scattante al comando di una leggera pressione, del contasecondi, elemento moderno in quella annosa macchina del tempo), tutti questi orologi hanno una loro storia, familiare e paterna. È raro che se ne faccia acquisto per il proprio uso. Essi sono quasi sempre un regalo, e un regalo importante, del Padre, o del Nonno, o dello Zio, in una occasione importante, nel momento piú decisivo della vita, quello in cui il giovane entra nel mondo, acquista la sua autonomia, si stacca dal passato, dalla sicurezza indistinta del tepido clan familiare, per cominciare a percorrere il proprio tempo personale. È allora che si riceve dal Padre l’orologio che ci seguirà per sempre, che seguirà tutte le nostre ore, attaccato alla sua robusta catena d’oro perché non si perda, perché non si smarrisca. Cosí, legato come un servo, egli comincerà la sua vita nella liscia oscurità del taschino, appiattato e nascosto nel buio come un cuore d’insetto, un cuore senza intermittenze, spietato, che non pompa nelle vene il caldo sangue, ma che batte tuttavia come una essenza intellettuale e senza corpo, e tirannico cerca di trascinare con sé il nostro cuore. Il nostro cuore non se ne accorge, dapprima, e continua svagato; poi resiste e si difende; ma, a poco a poco, si lascia sedurre e corrompere da quel ticchettío sempre uguale: è cosí difficile non andare al passo! Ecco, i soldati sfilano, dietro una allegra fanfara: Uno! Due! Uno! Due! I nostri piedi pare si muovano da soli, e, senza avvedercene, li abbiamo seguiti. Ma quella cadenza, quella andatura militare, si accelera, il nostro cuore la segue, non sa piú staccarsene, e il tempo corre e vola, e l’oggi, in un istante, è già fatto ieri, e si unisce, senza piú potersi contemplare e conoscere, al tempo che già si perdé. Cosí, la catena d’oro che teneva legato l’innocente orologio, diventa la catena che ci lega e ci trascina, ed è la piccola macchina del taschino che tiene ormai dal suo capo, come un padrone, la catena ben salda, e ci mena alla cavezza, come buoi da sgozzare, sempre piú in fretta, sempre piú in fretta, chissà dove.......
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.... Col gesto abituale di ogni sera, levai l’orologio dalla tasca: lo tenni un poco in mano, e lo avvicinai all’orecchio, prima di posarlo sul tavolino accanto al letto. Sentivo il suo ticchettio regolare, e pensavo che il tempo dell’orologio è del tutto l’opposto di quel tempo vero che stava dentro e attorno a me. È un tempo senza esitazioni, un tempo matematico, continuo moto materiale senza riposo e senza angoscia. Non fluisce, ma scatta in una serie di atti successivi, sempre uguali e monotoni. Ora l’orologio era sul marmo del comodino, appoggiato obliquamente sul suo moschettone ripiegato, fermo e insieme animato da un moto interno, come un grosso moscone lucente, pronto al volo. Era un bellissimo orologio d’oro, a doppia calotta, di ottima marca: un cronometro Omega, che non perdeva un secondo. Me lo aveva regalato, come è usanza, moltissimi anni fa, quando mi ero laureato, mio padre. Tutti questi orologi da tasca, grandi, pesanti, in un certo modo solenni, e un poco antiquati (ma il mio aveva, oltre le lancette delle ore e dei minuti e quella piú piccola dei secondi, quella lunga e sottile e scattante al comando di una leggera pressione, del contasecondi, elemento moderno in quella annosa macchina del tempo), tutti questi orologi hanno una loro storia, familiare e paterna. È raro che se ne faccia acquisto per il proprio uso. Essi sono quasi sempre un regalo, e un regalo importante, del Padre, o del Nonno, o dello Zio, in una occasione importante, nel momento piú decisivo della vita, quello in cui il giovane entra nel mondo, acquista la sua autonomia, si stacca dal passato, dalla sicurezza indistinta del tepido clan familiare, per cominciare a percorrere il proprio tempo personale. È allora che si riceve dal Padre l’orologio che ci seguirà per sempre, che seguirà tutte le nostre ore, attaccato alla sua robusta catena d’oro perché non si perda, perché non si smarrisca. Cosí, legato come un servo, egli comincerà la sua vita nella liscia oscurità del taschino, appiattato e nascosto nel buio come un cuore d’insetto, un cuore senza intermittenze, spietato, che non pompa nelle vene il caldo sangue, ma che batte tuttavia come una essenza intellettuale e senza corpo, e tirannico cerca di trascinare con sé il nostro cuore. Il nostro cuore non se ne accorge, dapprima, e continua svagato; poi resiste e si difende; ma, a poco a poco, si lascia sedurre e corrompere da quel ticchettío sempre uguale: è cosí difficile non andare al passo! Ecco, i soldati sfilano, dietro una allegra fanfara: Uno! Due! Uno! Due! I nostri piedi pare si muovano da soli, e, senza avvedercene, li abbiamo seguiti. Ma quella cadenza, quella andatura militare, si accelera, il nostro cuore la segue, non sa piú staccarsene, e il tempo corre e vola, e l’oggi, in un istante, è già fatto ieri, e si unisce, senza piú potersi contemplare e conoscere, al tempo che già si perdé. Cosí, la catena d’oro che teneva legato l’innocente orologio, diventa la catena che ci lega e ci trascina, ed è la piccola macchina del taschino che tiene ormai dal suo capo, come un padrone, la catena ben salda, e ci mena alla cavezza, come buoi da sgozzare, sempre piú in fretta, sempre piú in fretta, chissà dove.......
Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti
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Re: Il tempo è tiranno
Aggiungo una cosa, sempre sull'argomento, letta tempo fa.
Gli orologi analogici (cioè quello con la lancetta), non indicano solo il tempo, cioè l'ora attuale, ma il tempo che ti resta (della giornata).
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Re: Il tempo è tiranno
La cosiddetta indicazione analogica! Le lancette servono a farti capire "quantitativamente" (in uno spicchio temporale tra la lancetta dei minuti e l'indicazione delle 12) quanto tempo è passato e quanto te ne resta. Era un cavallo di battaglia delle pubblicità Zenith quando uscirono i primi orologi digitali della Seiko, molto prima che entrasse nel mercato del digitale Casio. Vado a memoria, ma mi ricordo benissimo che mi ero portato dietro l'opuscolo, al corso che fece mio padre a Firenze sui primi quarzi analogici. La data è sul diploma ma devo vedere in negozio.finestraweb ha scritto: ↑dom gen 19, 2020 1:27 pmAggiungo una cosa, sempre sull'argomento, letta tempo fa.
Gli orologi analogici (cioè quello con la lancetta), non indicano solo il tempo, cioè l'ora attuale, ma il tempo che ti resta (della giornata).
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Re: Il tempo è tiranno
Molto interessante ed istruttivo. Complimenti.rprisin ha scritto: ↑sab gen 18, 2020 10:17 pmCi illudiamo di dominare il tempo ma siamo da questo dominati,
Trovato in internet
.... Col gesto abituale di ogni sera, levai l’orologio dalla tasca: lo tenni un poco in mano, e lo avvicinai all’orecchio, prima di posarlo sul tavolino accanto al letto. Sentivo il suo ticchettio regolare, e pensavo che il tempo dell’orologio è del tutto l’opposto di quel tempo vero che stava dentro e attorno a me. È un tempo senza esitazioni, un tempo matematico, continuo moto materiale senza riposo e senza angoscia. Non fluisce, ma scatta in una serie di atti successivi, sempre uguali e monotoni. Ora l’orologio era sul marmo del comodino, appoggiato obliquamente sul suo moschettone ripiegato, fermo e insieme animato da un moto interno, come un grosso moscone lucente, pronto al volo. Era un bellissimo orologio d’oro, a doppia calotta, di ottima marca: un cronometro Omega, che non perdeva un secondo. Me lo aveva regalato, come è usanza, moltissimi anni fa, quando mi ero laureato, mio padre. Tutti questi orologi da tasca, grandi, pesanti, in un certo modo solenni, e un poco antiquati (ma il mio aveva, oltre le lancette delle ore e dei minuti e quella piú piccola dei secondi, quella lunga e sottile e scattante al comando di una leggera pressione, del contasecondi, elemento moderno in quella annosa macchina del tempo), tutti questi orologi hanno una loro storia, familiare e paterna. È raro che se ne faccia acquisto per il proprio uso. Essi sono quasi sempre un regalo, e un regalo importante, del Padre, o del Nonno, o dello Zio, in una occasione importante, nel momento piú decisivo della vita, quello in cui il giovane entra nel mondo, acquista la sua autonomia, si stacca dal passato, dalla sicurezza indistinta del tepido clan familiare, per cominciare a percorrere il proprio tempo personale. È allora che si riceve dal Padre l’orologio che ci seguirà per sempre, che seguirà tutte le nostre ore, attaccato alla sua robusta catena d’oro perché non si perda, perché non si smarrisca. Cosí, legato come un servo, egli comincerà la sua vita nella liscia oscurità del taschino, appiattato e nascosto nel buio come un cuore d’insetto, un cuore senza intermittenze, spietato, che non pompa nelle vene il caldo sangue, ma che batte tuttavia come una essenza intellettuale e senza corpo, e tirannico cerca di trascinare con sé il nostro cuore. Il nostro cuore non se ne accorge, dapprima, e continua svagato; poi resiste e si difende; ma, a poco a poco, si lascia sedurre e corrompere da quel ticchettío sempre uguale: è cosí difficile non andare al passo! Ecco, i soldati sfilano, dietro una allegra fanfara: Uno! Due! Uno! Due! I nostri piedi pare si muovano da soli, e, senza avvedercene, li abbiamo seguiti. Ma quella cadenza, quella andatura militare, si accelera, il nostro cuore la segue, non sa piú staccarsene, e il tempo corre e vola, e l’oggi, in un istante, è già fatto ieri, e si unisce, senza piú potersi contemplare e conoscere, al tempo che già si perdé. Cosí, la catena d’oro che teneva legato l’innocente orologio, diventa la catena che ci lega e ci trascina, ed è la piccola macchina del taschino che tiene ormai dal suo capo, come un padrone, la catena ben salda, e ci mena alla cavezza, come buoi da sgozzare, sempre piú in fretta, sempre piú in fretta, chissà dove.......
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Re: Il tempo è tiranno
Aggiungo un piccolo contributo:
Voltaire scrive nella sua opera " ZADIG (1747) ":
" Qual è tutto nel mondo", chiese il Grande Mago, il più lungo e il più corto, il più veloce e il più lento, il meno divisibile e il più ampio, il più trascurato e il più pentito, senza il quale nulla non si può fare, chi divora tutto ciò che è piccolo e chi vivifica tutto ciò che è grande?
Zadig dice che era il tempo. Niente è più lungo poiché è la misura dell'eternità; nulla è più breve, poiché mancano tutti i nostri progetti; niente è più lento per coloro che aspettano; niente di più veloce per coloro che non si divertono ... Tutti gli uomini lo trascurano, tutti rimpiangono la perdita; nulla viene fatto senza di lui; ti fa dimenticare tutto ciò che non è degno dei posteri e immortala le grandi cose ”.
Voltaire scrive nella sua opera " ZADIG (1747) ":
" Qual è tutto nel mondo", chiese il Grande Mago, il più lungo e il più corto, il più veloce e il più lento, il meno divisibile e il più ampio, il più trascurato e il più pentito, senza il quale nulla non si può fare, chi divora tutto ciò che è piccolo e chi vivifica tutto ciò che è grande?
Zadig dice che era il tempo. Niente è più lungo poiché è la misura dell'eternità; nulla è più breve, poiché mancano tutti i nostri progetti; niente è più lento per coloro che aspettano; niente di più veloce per coloro che non si divertono ... Tutti gli uomini lo trascurano, tutti rimpiangono la perdita; nulla viene fatto senza di lui; ti fa dimenticare tutto ciò che non è degno dei posteri e immortala le grandi cose ”.
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Re: Il tempo è tiranno
Non lo sapevo, comunque personalmente lo trovo assolutamente vero.
L'ora analogica non ti dice solo che ora è, ma "ti fa vedere" sul quadrante quanto è passato (ad esempio da quando sei entrato al lavoro) e quanto ti rimane.
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Re: Il tempo è tiranno
Purtroppo non trovo più quell'opuscolo.
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Re: Il tempo è tiranno
Ho ritrovato sul pc la frase che ho citato e la riporto come me l'ero segnata:Calico ha scritto: ↑dom gen 19, 2020 5:24 pmLa cosiddetta indicazione analogica! Le lancette servono a farti capire "quantitativamente" (in uno spicchio temporale tra la lancetta dei minuti e l'indicazione delle 12) quanto tempo è passato e quanto te ne resta. Era un cavallo di battaglia delle pubblicità Zenith quando uscirono i primi orologi digitali della Seiko, molto prima che entrasse nel mercato del digitale Casio. Vado a memoria, ma mi ricordo benissimo che mi ero portato dietro l'opuscolo, al corso che fece mio padre a Firenze sui primi quarzi analogici. La data è sul diploma ma devo vedere in negozio.
"Sugli orologi digitali, in un piccolo rettangolo viene indicata l'ora; il quadrante, però, è muto. Vedi una cifra, un punto: è tutto. Abbiamo degli orologi che ci dicono l'ora che è, ma non quella che non è.[...] Su un orologio tradizionale, l'ora che leggi si inscrive nel cerchio del tempo: ti ricordi subito ciò che hai fatto durante la giornata, dov'eri questa mattina, che ora era quando hai incontrato quel tuo amico. Ti ricordi dell'ora in cui il giorno comincia a calare e vedi quanto tempo ti resta prima di andare a letto - la coscienza tranquilla di una giornata intensa, con la certezza che domani il tempo ricomincerà la propria corsa intorno al tuo orologio. Ma se tu hai soltanto un rettangolo, sei costretto a vivere in una serie di istanti, perdendo la vera misura del tempo". (Jean-Claude Carrière)